Le offese su whatsapp sono all’ordine del giorno. E sì. Probabilmente stavamo meglio, quando stavamo peggio, come diceva qualcuno. Tra gruppi e sottogruppi, ormai Whatsapp, ma anche app come Facebook e Instagram, come Twitter e TikTok, sono diventate una vera giungla. Mamme contro mamme. Mamme contro la scuola. Compagni contro compagni o insegnanti. Mettiamoci anche i colleghi e qualche volta gli amici. E semmai dovessero finire dentro questo vortice anche gli educatori finiremo alla frutta.
Ormai non esiste più il filtro del buonsenso e sempre più spesso le chat di gruppo dei social diventano luogo d’offesa e denigrazione, di bullismo ed emarginazione.
Quegli stessi social che avrebbero dovuto accorciare le distanze, rendere la comunicazione più veloce e immediata, stanno diventando teatro di situazioni spiacevoli tra gruppi, sottogruppi e sottogruppi dei sottogruppi.
Paradossalmente, dietro una tastiera ci si sente forti e invincibili al punto che la libertà di manifestazione del pensiero sancita dall’art. 21 della Costituzione Italiana, arriva a sfociare in atti illeciti.
Sì. Perché non è tutto permesso.
Ecco perché le domande a cui cercheremo di dare risposta sono le seguenti: offendere su whatsapp è reato? Di quale illecito parliamo? Come può tutelarsi la persona offesa dal reato? I messaggi in questione possono costituire una prova in un processo?
Partiamo dalla prima domanda: le offese in una chat whatsapp costituiscono reato? Sì. La persona offesa dal reato potrà sporgere querela tramite la stazione Carabinieri locale, un posto di polizia o depositarla direttamente in procura.
Le offese su Whatsapp possono integrare un reato? Cattive notizie per i mal informati ed è la Cassazione che con la sentenza n. 7904 del 21 febbraio 2019 chiarisce che offendere una persona in una chat integra il delitto di diffamazione e non il depenalizzato ingiuria, a prescindere dal fatto che tra i membri del gruppo ci sia o no la persona offesa. Elementi essenziali affinché si realizzi questa fattispecie di reato sono: la consapevolezza di scrivere un’affermazione offensiva e la presenza (virtuale) di più soggetti. Nella fattispecie, il reato configurato è identificato dalla Suprema Corte in diffamazione con l’aggravante del mezzo della pubblicità (art. 595 cp c.IV).
“L’eventualità che tra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona nei cui confronti vengono formulate le espressioni offensive non può indurre a ritenere che, in realtà, venga, in tale maniera, integrato l’illecito di ingiuria (magari a suo tempo, sub specie del delitto di ingiuria aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 4, cod. pen.), piuttosto che il delitto di diffamazione, posto che, sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato (“e-mail” o “internet”) consenta, in astratto, (anche) al soggetto vilipeso di percepire direttamente l’offesa, il fatto che il messaggio sia diretto ad una cerchia di fruitori – i quali, peraltro, potrebbero venirne a conoscenza in tempi diversi –, fa sì che l’addebito lesivo si collochi in una dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore ed offeso”.
Sentenza n. 7904
Quali pene sono previste in caso di applicazione dell’art. 595 cp? Le pene sono previste al C I e sono: “la reclusione fino a un anno o la multa fino a milletrentadue euro”. L’aver commesso il fatto di reato in presenza di determinate situazioni comporta l’applicazione di pene diverse, specificate nei commi successivi. Puoi leggere il disposto dell’articolo 595 cp sul sito Brocardi.it.
La chat whatsapp può costituire una prova in un processo penale? Qui ci viene in aiuto sempre la Corte di Cassazione con sentenza n. 49016/2017 con la quale viene chiarito che «l’acquisizione di scritti o altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia o qualsiasi altro mezzo» e della quale non è disconosciuta la genuinità, possono rappresentare prova documentale della memorizzazione di un fatto storico ai sensi dell’articolo 234 del codice di procedura penale. Quindi la trascrizione di una chat può costituire una prova. La stessa Corte aggiunge, però, che per poter definire la prova affidabile si rende necessario il deposito dello strumento elettronico attraverso cui è stata rilevata.
Morale della favola? Torniamo nei ranghi. Ripristiniamo il senso di rispetto. Usiamo i social in maniera adeguata e consapevole.
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